Le stragi che si stanno consumando da diversi anni, come quella nella clinica per aborti nel Colorado, quelle nelle scuole americane, l’estremismo islamico, ma anche fenomeni sociali come i black blok e altri, a mio parere sono tutti figli di un’unica origine: i modelli economici e sociali esistenti.
In tutti questi casi, quando si è andati a vedere il background sociale e personale degli individui che si sono resi protagonisti di tali stragi, emerge un denominatore comune: sono tutti degli esclusi sociali, chi in un modo, chi in altri.
Gente che vive ai margini della socialità, dell’economia, dell’affettività, schiacciati dal consumismo, da una competitività innaturale, deformata, dai modelli di uomo e donna veicolati dal bombardamento mediatico, da bisogni di consumo imposti.
Persone emotivamente fragili, dominati dall’insofferenza dell’incertezza e della stessa sofferenza e che, pertanto, cercano valori, significati e significanti concisi, perentori, che diano poco spazio alla variabilità, alla pluralità.
Avvertono il bisogno di certezze, di quelle assolute, di quelle che non vanno oltre la logica dicotomica, preferibilmente monotomica.
L’unica diversità che riescono a percepire è la contrapposizione netta: o sei con me, o contro di me. Non è possibile il semplicemente diverso. Così l’altro, gli altri, possono essere oggetto di due soli sentimenti: odio e fratellanza.
Il giovane che fa stragi nelle scuole americane, percepisce ostilità (reale o falsa) dagli altri che, pertanto, sono meritevoli di odio: sono gli altri i cattivi, lui, lo stragista, fa solo giustizia.
La ricerca delle certezze dai pochi valori assoluti, restringe il ventaglio della leggibilità del mondo reale. Queste persone avvertono la necessità delle opzioni uniche, vogliono essere sicuri di seguire la strada giusta, ed è più facile se questa è una sola.
Il fondamentalista, è islamico o cristiano, perché trova nell’interpretazione letterale dei testi sacri, quella dicotomia che gli consente di avere certezze, percorsi ben definiti, che non danno spazio all’indeterminazione, all’incertezza, alla libera interpretazione ed espressione.
Non è un caso che i profeti dell’antico testamento, che chiedono il sangue di chi non si adegua all’unico dio, sono fonte ispiratrice per il fondamentalismo cristiano e musulmano.
La struttura stessa delle religioni monoteiste è stringente, contengono delle rigidità concettuali, ideali, che le rende, loro malgrado, un ottimo punto di riferimento per chi vede nella neutralità, nella diversità, nella molteplicità, un pericolo che incombe su se stesso.
Lo stesso vale anche per le ideologie dogmatizzate. La molteplicità spaventa chi affoga nella confusione, soprattutto quando non si hanno gli strumenti culturali e di conoscenza per individuare un filo conduttore che permette di navigare nell’oceano delle idee.
Un fenomeno, quest’ultimo, che possiamo notare anche nei tanti gruppi “multiforme” che mischiano tratti e simboli anarcoidi, con quelli di origine fascista, nazista e persino comunista e che rifiutano anche la conoscenza.
L’insofferenza dell’incertezza è indice di una bassa resilienza all’impatto sociale, ma anche all’indeterminazione di valori civici condivisi nella prassi quotidiana.
In un’epoca in cui sembra affermarsi con prepotenza il pensiero unico che esalta i valori del libero mercato, diventano più evidenti le discrepanze tra massa e oligarchia politico economica.
Nell’epoca in cui si esalta la democrazia dell’era moderna, si scopre che essa è un’illusione veicolata, persino declinata con innumerevoli significati: tanto che pare di trovarsi alla fiera dei sensi lati o derivati.
La mancanza di modelli sociali includenti producono sentimenti e sensazioni di non appartenenza.
Gli esclusi sentono di essere oggetto di una mancata valorizzazione, della negazione ad avere un’identità sociale riconosciuta.
Come sempre, quando un principio è oggetto del “diritto a”, non esiste alcuna garanzia che sia o possa essere prassi.