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PARTE SECONDA
Per un’idea della politica
Oggi si pone l’obiettivo di una liberazione, più radicale, più vera, più giusta, più umana: la liberazione dell’uomo dalla schiavitù mentale, culturale e materiale del mercato; la liberazione dell’uomo in quanto uomo; il superamento dell’uomo-merce, della supremazia dell’ homo economicus sull’ homo umanus, dell’egoismo che si manifesta nell’individualismo spinto, del primato dell’economia nella vita sociale.
Ma ci vogliono nuove idee, nuovi progetti, nuovi linguaggi e vocabolario, zero simboli e iconografie. Per sostenere il principio dell’ umanizzazione della società, non è affatto necessario l’utilizzo di termini che rimandano al conflitto tra uomini: la guerra non è tra uomini, ma contro un modello sociale.
In quest’ottica, la storia è utile solo se la si considera come l’insieme degli errori, delle cose da non fare, delle idee da non perseguire (tutte), degli esempi da non imitare.
La politica è la scienza del possibile nel presente, e non può che essere mediazione tra le diversità, anche se la mediazione va utilizzata con moderazione.
La politica non può reggersi sulle emozioni, sui moti del cuore, sulle tradizioni, ma sulla ragione. E la ragione, nella politica, non si esercita filologicamente, ma sulla base degli elementi occorrenti per il presente, in primo luogo, e per il futuro.
In tale ottica, il rigido ricorso alle ideologie date, costituisce un ostacolo a ogni mutamento, poiché le idee, per quanto evolute possano essere, sono inevitabilmente figlie della propria epoca.
La politica deve superare la logica del simbolismo: Tutte le battaglie sono perse se non ne ricavi qualcosa.
Quelle che, a sinistra, un tempo si chiamavano vittorie politiche che poi erano senza risultati materiali, sono del tutto inutili, la loro unica funzione, in pratica, è l’illudersi di aver ottenuto qualcosa quando ci si trova con un pugno di mosche in mano.
A mio parere fare politica deve significare strutturare e organizzare un paese, determinare la logica di intervento sociale cui bisogna ispirarsi nel presente, le regole che indirizzano la vita sociale e l’economia, e fare tutto ciò in modo organico.
Ad esempio, non è sufficiente dire “acqua pubblica”, perché è necessaria anche una distribuzione che non si perda nel cammino in una rete fatiscente, che non sia inquinata da industriali e mafiosi, aziende pubbliche di gestione che non siano terreno di conquista di personale politico e clientelare.
Come non è sufficiente dire “no inceneritori” se non fai un piano nazionale industriale per il riutilizzo dei rifiuti, se non crei una borsa delle materie prime seconde, se non agisci per ridurre gli sprechi nella produzione, distribuzione e consumo dei beni.
Come non è sufficiente dire “reddito di cittadinanza” se non lo inserisci in un piano generale di sostegno alla mancanza di reddito di qualsiasi origine, se non rendi il reddito di cittadinanza, che d’ora in poi chiamerò “reddito di dignità” un sistema strutturato stabile, che non dia spazio al parassitismo e che sia concepito come sistema di sostegno sociale che sostituisca la selva assurda che c’è tra sussidi di disoccupazione, cig, assegni di disabilità ecc, è il welfare che va ideato e realizzato ex novo.
E allora la sinistra?
La sinistra deve occuparsi prima e innanzitutto di chi non è rappresentato neanche dai sindacati: i senza reddito, cioè la fascia debole della società, per eccellenza.
La sinistra deve smettere di inseguire stemmi e simboli del passato, perché il futuro non è stato teorizzato se non sulla base di elementi di valutazione e principi, oggi, del tutto inadeguati perché figli del loro tempo.
La sinistra deve abbandonare il suo vocabolario storico, perché contiene troppi termini che evocano violenza (anche se spesso solo in termini psicologici).
L’uomo di sinistra deve imparare a colloquiare con chi non è di sinistra per portarlo sulla propria sponda: se non impara questo, non ha futuro.
Parlare, ad esempio, di antagonismo a chi si considera moderato, significa indurlo a una chiusura mentale verso ciò che gli si propone. Risultato: si crea una divisione, una separazione che allontana: si vuole una sinistra ghetto o una sinistra che accoglie le masse?
Le parole assumono un significato che, al di là del vocabolario, è determinato dalla percezione emotiva e culturale.
E noi non possiamo mica aspettare che tutti si dispongano in maniera psichicamente e intellettualmente aperta: se si entra in questa logica, l’attesa può essere millenaria.
La sinistra deve abbandonare il dogmatismo ideologico che alberga soprattutto nella testa della base.
La sinistra deve riscoprire il valore del merito e non del “diritto di classe”.
La sinistra deve cominciare a entrare nella logica che l’obiettivo non è la lotta di classe, ma la LIBERAZIONE DELL’UOMO IN SÉ che si è auto incatenato, auto imprigionato, ficcato in una spirale distruttrice che è il sistema mercantile, causa originaria e primaria dei mali sociali.
La sinistra deve smettere di fare guerre perse con le solite cariche a testa bassa fino a quando sbatte contro il muro.
La sinistra deve smettere di auto ghettizzarsi: il piccolo non è bello, l’essere in pochi rende senza forza, fare la minoranza la rende insignificante e inconcludente.
La sinistra deve porsi l’obiettivo del governo, perché solo le maggioranze son quelle che decidono e concretizzano.
La sinistra deve imparare ad essere pragmatica, a perseguire ciò che è concretamente possibile al momento: la teoria, le idee non sono la realtà, sono utili solo se non sono assolutizzate.