seconda parte
Nella società che vorrei, tutti lavorano: non per l’azienda, non per conto della proprietà, né per conto o in nome del mercato, ma per il benessere della comunità umana nel suo insieme.
Ognuno darebbe, con il lavoro, il proprio contributo per sancire il pieno diritto di vita delle persone e, ricavandone tale diritto, anche per se stesso.
In una società distributiva, il lavoro non può più essere concepito come un diritto, bensì come un dovere morale e un obbligo giuridico, poiché non sono pensabili privilegi e parassitismi: ciascuno deve assumersi la responsabilità del proprio ruolo sociale, per il fatto stesso di essere un soggetto sociale; ciascuno deve garantire il proprio contributo fattivo per il benessere di tutti.
Non è però possibile negare alle persone la possibilità di svolgere la propria attività lavorativa in maniera auto determinata, autonoma e/o auto organizzata; ma tale attività in autonomia va svolta in nome e per conto dello Stato, né può esprimere valori di mercato e redditi. Ciò perché il reddito è espressione del diritto di fruizione.
Non essendovi, in questo modello sociale, un sistema di mercato, beni e servizi sono offerti tramite un modello distributivo cui si ha accesso per mezzo del “diritto di fruizione”: il cittadino, in cambio del proprio contributo lavorativo, ha cioè, il diritto a consumare beni, servizi e quant’altro, secondo le proprie necessità, bisogni e attitudini.