Il denaro, desiderato, venerato o condannato in ogni epoca, ha sempre esercitato un grande fascino sugli uomini. Un proverbio latino recita “Homo sine pecunia est imago mortis”.
Pensare ad un’economia senza denaro è un’utopia. Ne era convinto anche Engels: “Il denaro è una merce universale con la quale tutte le altre sono scambiabili, con il denaro si può comprare tutto, ma inventando il denaro gli uomini non pensavano di creare con ciò una nuova potenza sociale, la sola potenza universale davanti alla quale tutta la società deve inchinarsi”.
Prima della moneta coniata gli uomini usavano come mezzo di scambio i beni che nel loro contesto sociale avevano un certo valore, prodotti della terra ,capi di bestiame come dimostrano le voci latine “pecunia” ”peculium” derivate da “pecus”(bestiame), pezzi di metallo più o meno prezioso, i Greci, gli obelòi spiedi di ferro, i Latini l’aes rude, un pezzo di rame privo di una forma e di un peso prestabiliti, ma c’era l’inconveniente che ad ogni scambio i pezzi di metallo dovevano essere pesati, infatti il verbo latino “pendere” significa sia “pesare” che “pagare” (Ennio De Simone, La moneta: ieri e oggi, Loffredo Editore Napoli).
Il passaggio alla moneta coniata cioè garantita nel peso e nel valore, avvenne più tardi. Secondo il racconto di Erodoto
i primi a coniare monete d’oro e d’argento furono i Lidi, all’epoca del re Gige (Hist.I,94).
La società greca fu la prima a basarsi su un’economia monetaria. Erodoto nelle sue Storie riportando vicende accadute nel VII sec. a.C. racconta che una nave di Samo, comandata da Cole, spinta dal vento oltre le colonne d’Ercole, giunse a Tartesso, un emporio fino ad allor mai frequentato, dove i Sami riuscirono a vendere il loro carico, ricavandone sessanta talenti, il più largo profitto mai realizzato (IV,152).
Grazie al commercio e alla colonizzazione, nel giro di pochi anni, l’uso della moneta si diffuse nelle regioni bagnate dal Mediterraneo centrale e occidentale e rivoluzionò profondamente l’economia del tempo.
Nel volgere di pochi anni si creò un nuovo tipo di ricchezza che non dipendeva più solo dall’estensione dei possedimenti terrieri, ma sempre più dalla quantità di monete accumulata.
Il denaro, diventato un elemento importane della vita economica, portò anche a nuovi assetti politici. Infatti, il ceto formato da cittadini che non erano nobili di nascita, ma avevano accumulato grandi ricchezze, cominciò a premere per una partecipazione attiva alla vita politica e, in molte poleis, si passò dal regime aristocratico a quello timocratico.
Nei versi del poeta lirico Teognide, risulta evidente la contrapposizione tra i due ambiti socio-politici, il disprezzo dei nobili verso gli arricchiti, ma anche l’inevitabilità della trasformazione sociale in atto.
“La città è ancora la stessa, ma altro è il popolo, quelli che prima (…) intorno ai fianchi logoravano pelli di capra (…) ora sono essi i capi: e quelli che prima erano nobili ora non contano più…”
Solone nell’Eunomia, l’elegia sul “buon governo”, afferma che Atene non potrà mai perire per volere degli dei perché Pallade Atena la protegge, ma gli uomini, con la loro disonestà e con la loro brama di ricchezze, impediscono alla città una vita tranquilla e alla fine la porteranno alla rovina. “Ma sono i cittadini stessi… sedotti dalla ricchezza/ che vogliono distruggere la nostra grande città…/arricchiscono persuadendosi a compiere azioni ingiuste…/non risparmiano i beni sacri né quelli pubblici/, ma rubano e rapinano dall’una parte e dall’altra, e non rispettano i sacri fondamenti della giustizia. (Traduzione di Guido Paduano).
In tutta la lirica arcaica sono presenti frammenti dal tono sentenzioso che sottolineano la prepotente arroganza del denaro e l ‘influenza negativa che esso esercita sull’animo degli uomini. La condanna del denaro e della ricchezza che, dal suo accumulo deriva, si fa sentire anche nel periodo d’oro di Atene, l’età di Pericle, durante la quale la città diventò la capitale commerciale, finanziaria e culturale del mondo greco. Lo sfruttamento delle miniere del Laurio aveva consentito di mettere in circolazione una grande quantità di monete e, quando il tesoro della Lega fu trasferito ad Atene con un decreto, la valuta ateniese divenne l’unica della Lega Delio-attica.
In seguito all’affermarsi dell’economia monetaria, “sorsero – scrive G. De Sanctis nella sua Storia dei Greci – quelli che nel maneggio del denaro trovarono la loro occupazione: sorsero cioè i banchieri. Le banche ricevevano somme di denaro e ne davano in prestito e tutto ciò portò all’accaparramento di ricchezze da parte di pochi.”
La potenza del denaro è sottolineata da Sofocle in un frammento (fr.85 Nauck) riportato da George Thomson nel saggio “Mercato e democrazia in Grecia”.
“La ricchezza procura agli uomini amici, onori /e sta vicino al trono dell’eccelsa tirannide. / Non vi è più nessun nemico davanti alla ricchezza / e chi lo è stato nega di odiare. / La ricchezza si insinua liberamente dove non è lecito / e dove è lecito, mentre l’uomo povero a nessun patto / riesce a conseguire ciò che desidera, / neppure se vi si imbatta. / Chi di corpo è brutto a vedersi e sgraziato a parlare, / il denaro lo rende saggio e di piacevole aspetto. / Solo il ricco è libero di ammalarsi /e di stare sano, e di celarsi ai mali”.
Quando nel IV sec. si diffuse ad Atene il movimento della sofistica, i sofisti furono aspramente criticati perché per il loro insegnamento si facevano pagare, Platone definiva il sofista un cacciatore stipendiato di giovani ricchi, e nell’Ippia afferma che i sofisti dalla loro professione ricavavano più denaro di qualunque altro artista.
La diatriba tra ricchezza e povertà nel mondo antico è presente sia nei filosofi che nei poeti, tuttavia, alla luce di una visione razionale, il denaro non viene demonizzato per sé stesso ma per l’uso.
Aristofane nella sua ultima commedia “Pluto“, in chiave satirica, affronta il problema dell’ingiusta distribuzione della ricchezza e le conseguenze negative di una utopistica ricchezza universale. Il denaro è il motore delle azioni degli uomini, ma se tutti diventano ricchi, avverte Penia (Povertà) – dalla società umana scompariranno il bisogno e il lavoro, che sono all’origine del progresso.
La ricchezza è considerata un elemento positivo se utilizzata per il bene della comunità, come emerge dall’ elogio di Atene di Pericle, “noi usiamo la ricchezza più per l’opportunità che offre all’azione che per sciocco vanto di parole”.
Dello stesso parere è Plutarco (I-II sec.d.C) che, in più punti delle sue Vite, condanna severamente l’appropriazione indebita del denaro pubblico, ma considera la ricchezza necessaria al politico perché gli permette di soddisfare i bisogni della collettività, tuttavia nei Moralia (opuscolo Sulla bramosia della ricchezza) osserva che la cupidigia, già per sua natura difficilissima da domare, quando si accompagna alla ricchezza diventa completamente indomabile.