PRIMA PARTE
La timidezza ha una propria condizione mentale, varia da soggetto a soggetto, ma si muove in un alveo abbastanza caratterizzato e determinato.
Quando si trova a vivere delle circostanze che lo mettono in apprensione, la mente dell’individuo timido è percorsa da pensieri e considerazioni relative a diversi aspetti correlati: l’esito, sempre negativo, dell’azione che si sta per svolgere e le conseguenze che ne possono derivare, sia come ritorno d’immagine, sia in termini di effetti materiali; il vaglio delle proprie capacità o abilità nel vivere quella data situazione; il modo di percepire l’altro o gli altri soprattutto riferito a come questi possano valutarlo.
La risposta che deriva da questa attività pensante muove in tre direzioni: emozionale come l’ansia, la paura, la vergogna; fisica come il rossore, la sudorazione, le sensazioni viscerali; comportamentale che riguardano le azioni che vengono poste in atto come strumento di soluzione alle altre due risposte.
I cognitivisti sostengono che l’uomo, nel relazionarsi con gli altri, con il mondo circostante e per definire tutti quei comportamenti necessari alla sua sopravvivenza, ha bisogno di avere dei modelli di conoscenza che gli permettono di raggiungere gli scopi che si prefigge.
L’insieme degli scopi costituiscono il sistema di motivazioni dell’individuo, a partire da quelli innati come quello riproduttivo e dell’alimentarsi, fino a quelli relativi al miglioramento della propria condizione sociale, culturale, materiale, dei momenti contingenti.
Per far fronte alle esigenze rappresentate dagli obiettivi, l’essere umano crea un insieme di credenze che costituisce un sistema interpretativo della realtà, un aggregato di ipotesi su come è il mondo, sono schemi, modelli che lo informano su se stesso, sugli altri, su quello che lo circonda; lo pongono nella condizione di prevedere ciò che può accadere in determinate situazioni e, allo stesso tempo, di esperire quelle azioni idonee a far fronte alle situazioni previste e perseguire i propri scopi.
La capacità di previsione esprime il meccanismo attraverso il quale la nostra mente valuta gli eventi e, sulla base delle proprie credenze, elabora una previsione dei possibili sviluppi per attivare i comportamenti che il sistema ritiene opportuni.
Le credenze si formano attraverso l’apprendimento, che non coincide con l’aumento della conoscenza, con l’istruzione, che è solo una sua forma: questo processo avviene in modo variegato, in modo diretto o indiretto, per trasmissione, per similitudine, per imitazione, attraverso le emozioni, i suoni, la tattilità, la verbalità, la percettività. Inizia sin dai primi mesi di vita e, già con queste prime conoscenze, il neonato comincia a farsi un’idea delle cose, a sviluppare le sue prime credenze.
Come ho accennato prima, quest’insieme di schemi sono interpretazioni, ipotesi, in qualche caso suggestioni, non possono essere considerate espressione di verità, di certezze; la possibilità che possano corrispondere in modo più o meno prossimo alla realtà dipende dalla capacità del sistema di aggiornarsi.
Questi modelli generano, quindi, delle aspettative che possono essere invalidate; avviene quando una previsione non corrisponde ai fatti, per cui si verifica il suo fallimento che implica il rischio di non raggiungere gli scopi prefissati.
Laddove un’aspettativa viene invalidata, il sistema si viene a trovare nella necessità di rivedere tale credenza e di articolarla per rendere quello stesso modello più aderente alla realtà, in modo da avere una migliore capacità di previsione e di poter mettere in atto dei comportamenti più consoni al raggiungimento dello scopo.
Maggiore è il livello di articolazione di uno schema, maggiore è la capacità di previsione, di adattamento e migliore è la risposta comportamentale. Una credenza articolata è elastica, capace di recepire le invalidazioni, di aggiornarsi e interpretare meglio il mondo reale.